Data: 10.02.2021
Articolo: La Sentinella del Canavese
La riduzione dei ghiacciai mette in pericolo la flora autoctona di montagna. Il 44% delle specie montane è a rischio di estinzione e un 22% potrebbe scomparire per gli effetti del riscaldamento globale. Lo spiega Gianalberto Losapio, ricercatore a Stanford e tra gli autori di un report che fa luce sulla biodiversità vegetale e gli habitat proglaciali
La tesi di Adele Brand, studiosa britannica nel campo dell’ecologia ambientale, secondo cui “all’interno di un ecosistema ogni estinzione è come un anello di una catena che si rompe”, è certamente condivisa dal team di ricercatori dell’Università di Stanford, California, che ha appena presentato uno studio sulle conseguenze del ritiro dei ghiacciai sulla biodiversità vegetale e sugli habitat proglaciali. La prospettiva del rischio di estinzione di alcune specie della flora alpina è un altro campanello d’allarme collegato ai cambiamenti climatici. Un ruolo chiave nella realizzazione di questo studio lo ha avuto Gianalberto Losapio, ricercatore di Como, laureato in scienze naturali all’Università di Milano, un dottorato di ricerca all’Università di Zurigo presso il Dipartimento di Biologia Evoluzionistica e Studi Ambientali.
Attraverso documenti geologici e l’osservazione di 117 specie e delle condizioni ambientali locali, Losapio e i suoi colleghi hanno appurato che la riduzione dei ghiacciai sta mettendo in pericolo la flora autoctona di montagna. Il 44% delle specie montane è a rischio di estinzione. Le indagini scientifiche di Losapio sulle piante alpine nei fragili ecosistemi montani, durano da più di dieci anni, ma nel suo percorso di vita, prima ancora che professionale, si trovano tracce di questi interessi già nell’infanzia.
“Sono cresciuto nell’unica area verde di un quartiere popolare – spiega il ricercatore dal suo ufficio al Dirzo Lab di Stanford – esattamente dove finisce la strada ed inizia il castagneto. Da piccolo, con mia sorella, giocavo spesso nel bosco. Adoravo l’autunno, mi piaceva vedere i ricci che maturavano per poi aprirsi e lasciar cadere le castagne a terra, era un fenomeno che mi affascinava molto. Mia mamma ce le faceva raccogliere per poi inciderle e fare le caldarroste al camino. D’estate invece trascorrevamo le vacanze nella casa di campagna dei nonni in Puglia, tra alberi di fichi e mandorle. Credo che qui mio papà abbia seminato e inoculato in me la passione per la natura, il rispetto per la terra, la cura e comprensione delle piante. Arrivo da una famiglia contadina in cui da generazioni ci si tramanda la conoscenza di ogni singola pianta che cresce nei nostri terreni. Una delle prime che ho imparato a riconoscere è l’oleandro. La nonna ci insegnò a non mettere in bocca le foglie perché velenoso”.
Quel bambino è diventato uno degli studiosi più accreditati di ecosistemi ambientali. Nella sua ultima ricerca si è concentrato sugli ambienti proglaciali, altamente sensibili al riscaldamento globale, dove alcune piante come l’Artemisia genipi (aromatica e endemica, nota nella tradizione alpina per il suo liquore), la Sassifraga viola, il Ranuncolo dei ghiacciai o il Sedum alpestre, potrebbero scomparire con l’estinzione dei ghiacciai”.
“Le conseguenze di un fenomeno globale sono misurabili e percepibili a livello locale – sottolinea Losapio – l’impatto della scomparsa dei ghiacciai sarebbe un disastro per tutte le specie e componenti terrestri e acquatiche. Non dobbiamo dimenticarci che i ghiacciai sono l’acqua che beviamo e anche quella che utilizziamo nell’agricoltura. Potrebbero innescarsi delle estinzioni locali a cascata, dove la scomparsa delle piante pioniere sarebbe seguita da quella degli altri organismi ad esse associate, come i diversi insetti impollinatori ed erbivori, i funghi e i microrganismi del suolo, nonché i loro predatori e parassiti. Più le piante e i loro partners sono rari e specializzati, maggiore è il rischio di estinzione”.
In esame sono stati presi quattro ghiacciai delle Alpi: quelli della Vedretta d’Amola nel Parco Adamello Brenta, del Trobio nelle Alpi Orobie, della Vedretta di Cedec nel gruppo Ortles-Cevedale e del Rutor in Valle d’Aosta. Quest’ultimo, come ha recentemente segnalato sul suo blog il fotografo e ambientalista Luca Fontana, “discende da un dolce pendio dai 3500 metri della Testa del Rutor e si sta ritirando a una velocità impressionante”.
Il lamento del ghiacciaio: viaggio sul massiccio del Monte Bianco dove le rocce si sgretolano e il ghiaccio diventa acqua
Un caso da libro di testo che evidenzia questi fenomeni e dinamiche – aggiunge Losapio – e che ci conferma una probabilità alquanto bassa per le piante pioniere di sopravvivere, portando alla scomparsa locale del 22% delle specie analizzate. C’è poi un problema di mutazioni e di come cambino morfologicamente le piante a livello fenotipico. I caratteri studiati riguardano principalmente le foglie, che diventano molto più dure, coriacee e pesanti”.
Alberi, piante e fiori ad alta quota
“Le piante tardive in particolare divengono più conservative e competitive. Questa maggiore ‘aggressività’, unita agli effetti diretti della scomparsa dell’habitat, comporta una perdita di biodiversità soprattutto delle piante con caratteri più ‘pionieri’. In precedenti ricerche abbiamo visto che la densità e ricchezza di piante con fiori colorati e profumati diminuisce drasticamente con il ritiro dei ghiacciai nelle comunità cosiddette competitive”.